E’ un periodo di riflessioni sull’essere blogger e su come migliorare sempre quello che faccio. Dopo l’incontro in occasione di Tavola Spigolosa, dove si è discusso della figura del foodblogger in rete si è accesa parallelamente una conversazione interessante, in merito ai post sponsorizzati, uno dei punti trattati nell’incontro.
Il social di riferimento della conversazione è stato Twitter e insieme a Raffaella Amoroso, Sabina Montevergine, Domitilla Ferrari e Francesco Portolano, abbiamo scambiato opinioni sul tema. Si cercava di trovare una soluzione su come rendere identificabile un post sponsorizzato.
- Sabina ha condiviso l’esempio di un post di un blog americano, dove alla fine del post scrive all’interno dei credits foto il testo (This post is sponsored by “nome azienda”).
- Francesco ha dato indicazioni su cosa succede in giro per il mondo e ha menzionato lo IAP – Istituto Autodisciplina Pubblicitaria con un tavolo di lavoro aperto sul tema.
- Raffaella ha dichiarato di utilizzare #sponsorship come tag in ogni post.
- Il mio contributo è stato quello di dichiarare la verità in ogni post, come intro all’articolo o alla fine e aggiungere al post il tag #collaborazione
- Domitilla, proprio pochi giorni ha comunicato che ha deciso di mettere un cuoricino alla fine dei tweet (sponsorizzati) e dei post su Facebook in cui parla di qualcosa in cambio delle donazioni a UNHCR, il suo #adv in pratica e ha cambiato anche la bio su Twitter aggiungendolo anche lì.
Come detto, questo tema è stato un argomento cardine della discussione, perchè è proprio qui che per alcuni aspetti si fonda la figura del blogger, dove percepisce un compenso come lavoro per potersi mantenere. Una frase significativa è stata:
Blogger che vuoi essere pagato Ok, ma mi fai vedere i dati di affluenza al sito/social, inoltre scrivi secondo indicazioni del cliente. Condividi il TweetOvviamente possiamo pensare che sia giusto o sbagliato, ma il principio è che la situazione a volte scappa un po di mano anche nel mondo blogger.
Mi spiego: se mi metto dal punto di vista dell’azienda che commissiona un lavoro è normale che se pago un servizio ho bisogno di certezze, che possono essere fatte di numeri, link, foto e condivisioni, il risultato deve essere tangibile e misurato per l’investitore.
Ma se invece parlo all’azienda (che io sia l’agenzia, il mediatore o l’agente) devo anche farle capire, che se sceglie un blogger per racconatare il suo prodotto, è perchè quella persona ha il suo modo, il suo stile, il suo pubblico e deve essere libero di farlo nel modo che ritiene più opportuno. Il punto fondamentale però oltre alla forma è soltanto uno, il lavoro commissionato deve essere dichiarato a mio avviso, perchè è corretto e perchè la pubblicità non deve essere ingannevole.
La creazione dei contenuti a pagamento
Sono favorevole al fatto che ci devono essere delle regole, una fra tutte: il rispetto verso il lettore. Quindi il consiglio personale che mi sento di dare è solo uno “dichiariamo sempre quello che facciamo” perché io per prima mi sentirei presa in giro, se leggendo un articolo su un blog che ammiro, mi accorgessi attraverso una citazione sponsorizzata di un prodotto/azienda/locale che è stato percepito un compenso e non sempre questo è chiaro.
Questo discorso cosa significa? Che è bellissimo creare lavoro attraverso una passione, è il desiderio di tutti, ma se lo riusciamo a fare è perchè abbiamo faticato e abbiamo messo tutto l’impegno del mondo nel farlo, allora ripaghiamo il nostro lettore in tutta onestà e facciamogli capire che quello che stiamo scrivendo, deriva da un contributo perchè l’azienda ha voluto noi e non qualcun altro perchè siamo bravi. Quindi sì a scrivere all’inizio del post “Questo articolo è nato dalla collaborazione con…” e alla fine dell’articolo citare la sponsorizzazione o metterlo in una sezione del blog dedicata alle collaborazioni con le aziende. Se credete in quello che state facendo non sarà un problema dichiararlo no?
Abbiamo trascorso almeno un ventennio lamentandoci di ogni forma di pubblicità occulta, adesso in alcuni casi ci si lascia trasportare da queste sponsorizzazioni, non facendo più capire da che parte è la passione e dove la collaborazione.
La parola all’esperto
Esco dai pensieri personali e chiedo per chiarezza a chi se ne intende, per avere delle risposte chiare in merito ai post sponsorizzati. Scrivo ad Ernesto Apa, avvocato partner dello studio legale Portolano Cavallo, si occupa di digital, media e pubblicità ed è socio di Francesco Portolano avvocato della conversazione su Twitter. Ha scritto un paio di libri sul tema, compreso uno sulla pubblicità commerciale, qui il link.
Quali sono le normative da adottare?
“Non vi sono norme che si riferiscano specificamente ai post sponsorizzati, ma trovano applicazione i principi generali in materia pubblicitaria stabiliti dalla legge italiana: la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta, essa deve essere chiaramente riconoscibile come tale. Quindi i blogger devono tenere distinti i post nei quali esprimono le loro genuine opinioni dai post che presentano invece una finalità pubblicitaria: questi ultimi devono essere agevolmente identificabili dai lettori come messaggi promozionali. Specifiche regole si applicano alla pubblicità di determinati prodotti: la pubblicità di alcuni prodotti è vietata (ad es. sigarette), quella di altri prodotti è soggetta a restrizioni (es.: alcolici). Inoltre, le imprese che hanno aderito al Codice di Autodisciplina delle Comunicazioni Commerciali devono rispettare anche detto Codice.”
Un blogger come può informarsi su quali sono le regole in merito ai post sponsorizzati?
“I post sponsorizzati sono un tema sul quale non c’è ancora, in Italia, una nutrita riflessione giuridica. Il sito dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) fornisce molte informazioni sulla normativa autodisciplinare, ma solo rivolgendosi a un avvocato si può avere un quadro completo della disciplina applicabile e ricevere dei consigli su cosa è consentito e cosa invece occorre evitare.”
Come si comporta il resto del mondo in merito?
“Nei principali Paesi occidentali vigono principi, quali trasparenza e riconoscibilità dei messaggi pubblicitari, analoghi a quelli che ispirano la normativa italiana in materia. Inoltre apposite linee guida e documenti che indicano le best practice di settore sono stati adottati dalla Federal Trade Commission statunitense, dall’Advertising Standard Authority nel Regno Unito, dall’International Chamber of Commerce, dalla European Advertising Standard Alliance (di cui fa parte anche lo IAP italiano), etc. Si tratta di documenti talvolta molto articolati (in alcuni casi oltre 50 pagine), che forniscono numerosi suggerimenti pratici. Per esempio, l’ASA britannica consiglia di utilizzare “#ad” o “#spon” per rendere palese la natura pubblicitaria di un tweet (si pensi agli endorsemnet in favore certi prodotti twittati da personaggi celebri). Presto anche in Italia saranno adottate apposite guidelines.”
Ringrazio l’avvocato Apa per le risposte e gli spunti internazionali e penso che bisognerebbe essere sempre liberi di scrivere in tutti i sensi, sia che si parli della nostra passione, qualsiasi essa sia, sia che si parli di un prodotto se vi piace, se vi ha pagato o no, sia che parliate di voi. Ma facciamolo sempre in modo onesto e veritiero, non c’è nulla da nascondere anzi, se siamo sicuri di quello che stiamo facendo non farà che creare maggior fiducia nel nostro pubblico perchè gli avremo dato un nuovo spunto, un suggerimento o un’indicazione per un’esigenza.
Vi lascio con tre consigli di lettura di altri blogger. Cose che ho letto in questi giorni e che ritengo interessanti con validi spunti:
- “I post sponsorizzati non devono essere un tabù” di Claudia Porta per C+B
- “Come si scrive un post sponsorizzato davvero efficace” di Manuela Cervetti
- A tema travel “Siete trasparenti con i vostri lettori?” di Tursiti per Sbaglio
- Aggiungo dai commenti del post di oggi il link del codice delle buone pratiche dei blogger scritto in 300 qualche anno fa, ideatrice Barbara Damiano.
Possiamo creare noi una regola? Cosa ne pensate? Adesso però mi interessa sapere la vostra opinione sul tema: sia che siate blogger, sia che siate il lettore che mi legge.
A presto!
Francesca

👩🏼💻 Digital Communication & Blogger | 😋 Racconto storie gustose e faccio la pasta fresca | 🌿Amo la natura | 🏙️ Vivo e lavoro a Milano ma sono Emiliana | 📱 Sui social mi trovate come @lagonzi | 📧 email: spadelliamo@gmail.com
Chi è online da un po’ (io ho un blog dal 2007), certamente sa che le guideline esistono da qualche anno, da quando, cioè su Mommit ci abbiamo lavorato su in centinaia.
Condivido in pieno la necessità di individuare un # identificativo per Twitter. Anzi, a dirla tutta sono molti mesi che propongo a destra e a manca di indivisuare un # (io avevo pensato ad #adv) specifico per twitter, perché, se sul blog e su FB è più semplice essere chiari, su twitter non ci si riesce. Un tweet con un link, resta un tweet con un link. Però io credo che le persone abbiano il diritto di sapere prima di cliccare che si tratta di una collaborazione. E, dunque, di scegliere se cliccare o meno.
Per il resto, comunque, molto è lasciato ancora alla serietà e alla correttezza con cui i blogger lavorano e al valore che danno a se stessi.
Sul blog, così condividiamo le pratiche, io ho creato una sezione dedicata che si chiama “Articoli sponsorizzati”. All’interno di questa inserisco le collaborazioni. E sarebbe forse già sufficiente. Però in più aggiungo il tag #articolosponsorizzato, la category #adv e a fondo pezzo “In collaborazione con”. Questo perché non voglio che nemmeno i più distratti facciano confusione nei contenuti.
Ciao!
Silvia
Bravissima! Condivido la tua pratica, ho creato lo spazio collaborazioni che sto aggiornando da quando ho cambitato il blog a Giugno e ho sempre taggato i post con collaborazione, ma credo che #adv sia da aggiungere al tag e ai tweet soptrattutto. Ho inziato a farlo da poco su Instagram nei tag delle foto e credo di aggiungere #noadv quando si crede che lo sia ma non lo è (ad esempio ieri ho messo una foto con delle paper mate che non sono sponsorizzate, ma acquistate da me). Grazie mille per il commento, verrò a leggere la tua sezione su blog!
#noadv è un bello spunto. Non ci avevo pensato.
In FattoreMamma sono anni che ci battiamo su questi temi per far capire alle aziende come si lavora con le blogger. Insieme ad alcune, come per esempio Barbara Damiano ama Mammafelice, abbiamo messo a punto un codice di autoregolamentazione. Provate a dare un’occhiata qui: http://www.mommit.it
E piano piano le aziende iniziano a capire cos’è, come funziona il native advertising 🙂
Scusate: http://www.mommit.com
Grazie mille Jolanda, non lo sapevo frequentando poco i blog di mamme, vado a leggere!
Ciao,
bellissimo post. Completo e approfondito.
Nel mio blog ho una categoria “Collaborazioni” in cui inserisco i post che prevedono un pagamento e non solo. Anche eventi o tour che diventano post con citati nomi di aziende produttrici finiscono lì. E sono tentata di inserire anche quelli nati da inviti tramite agenzie di marketing. Ma come viene interpretato questo da chi legge? Continua poi a spaventarmi come viene letta questa trasparenza. Un paper sponsorizzato richiede comunque lavoro e anche fiducia nel prodotto.
E #collaborazione è veramente sinonimo di #sponsorship?
Non proprio. Infatti io ho scelto di chiamare lo spazio in home “articoli sponsorizzati”, né “collaborazioni”, né inglesismi. Non mi piace, ma credo che sia molto chiaro. E a me interessava la chiarezza.
Dall’apertura del mio blog ho sempre contrassegnato con il tag “collaborazioni” tutte le forme di rapporto commerciale con brand e agenzie. Mi sono chiesta molte volte come i miei lettori percepissero un post sponsorizzato, pagato in denaro o con scambio merce (pratica che non amo particolarmente). La risposta è arrivata con il tempo. Negli anni ho costruito il mio volto online, fatto di scelte e integrità. Ho rifiutato collaborazioni allettanti con brand che non mi rappresentavano e ho aggiunto dettagli al mio volto accostandomi a marchi che avrei scelto indipendentemente dal compenso. Quando parlo bene di un prodotto o racconto la mia esperienza in un ristorante, i miei lettori sanno che possono fidarsi. Questo per me è un valore e lo è anche per le aziende che lavorano con me. Con che etichetta classifichiamo quei post poco importa, è la coerenza il miglior tag.
Bellissima risposta Anna: “la coerenza il miglior tag”. Grazie!
Francesca cara, interessantissimo post su un argomento di cui poco si parla nel mondo delle foodblogger. Io non ho mai avuto nulla da nascondere e da sempre ho una categoria “Collaborazioni” in cui inserisco sia post retribuiti sia post in cui ho provato i prodotti e ne parlo. Mi sembra corretto segnarlo ai miei lettori.
Grazie del tuo commento Claudia!