Pochi giorni fa si è conclusa la IX edizione di Slow Fish, la manifestazione del movimento internazionale di Slow Food, associazione impegnata a tutelare il giusto valore del cibo, nel rispetto dell’ambiente, degli ecosistemi naturali e dei sapori tradizionali locali. L’evento si svolge nella mia città, Genova, a cadenza biennale ed è dedicato alla tutela delle risorse ittiche, degli ambienti marini e delle comunità di pescatori.
Quest’anno il tema era: “Il mare: bene comune” visto come luogo da tutelare. Se facciamo una piccola riflessione, ogni nostra azione è fortemente legata a tutte le trasformazioni che avvengono in mare, quindi diventa necessaria la salvaguardia delle zone marine. Tre sono i fattori principali che da sempre danneggiano gli ambienti e la popolazione marina: un sovra-sfruttamento delle risorse ittiche, l’inquinamento chimico delle acque e l’impatto del cambiamento climatico sul delicato equilibrio della vita subacquea. Tutte queste azioni sono riconducibili all’uomo e hanno effetti devastanti sul mare e sui suoi ecosistemi.
Slow Fish: l’importanza del mare
Il mare è fonte di biodiversità naturale e di ricchezza culturale per le società costiere. Rappresenta una via di trasporto per le società umane, è in grado anche di regalarci bellezza paesaggistica e svolge un ruolo importante apportando a noi effetti benefici attraverso la riduzione di CO2 nell’aria e restituendoci ossigeno. Insomma, un vero e proprio bene da custodire.
Negli ultimi anni si è registrata una maggiore sensibilizzazione per i temi ambientali sia tra la popolazione che da parte delle istituzioni. Lo dimostrano alcune buone pratiche, quali ad esempio l’attenzione allo spreco alimentare, la riduzione dell’uso della plastica, e l’ottimizzazione del riciclo della spazzatura o l’utilizzo di frutta e verdura di stagione.
Tuttavia poche sono le volte in cui ci fermiamo a riflettere sugli effetti nocivi delle abitudini quotidiane dell’uomo sugli ambienti marini; questo uno dei temi principali che Slow Fish si prefissava di chiarire quest’anno.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il 33% delle specie ittiche di interesse commerciale sono sovra-pescate o prossime all’esaurimento e un altro 60% è ai limiti della sostenibilità. Nel 2016 i pesci selvatici catturati nel mondo ammontavano al numero impressionante di 90 milioni di chili l’anno. Secondo uno studio recente della rivista Science, al ritmo attuale tra circa 40 anni non ci saranno più pesci commestibili se non modificheremo le nostre abitudini alimentari.
Mari e oceani sono ricchissimi di biodiversità, eppure tra le specie commestibili la maggior parte delle persone si concentra sui soliti noti (tonno, pesce spada, merluzzo, salmone, orata e branzino), questo fa sì che la pesca industriale stia mettendo a serio pericolo l’ecosistema marino. In realtà al di fuori di queste poche specie di pesci c’è un mondo da scoprire.
Salvare il mare anche cambiando le nostre abitudini alimentarei
Durante l’evento Slow Fish si è parlato anche di come tutti possiamo contribuire alla salvaguardia dei mari e delle specie ittiche, cominciando a cambiare in primis le nostre abitudini alimentari.
Cosa possiamo fare noi?
Seguendo pochi accorgimenti l’ambiente marino sarebbe più tutelato e protetto. Vediamone insieme alcuni:
- Anche i pesci, come frutta e verdura, hanno una stagionalità; imparare a rispettarla acquistando la taglia giusta in modo da consentire la riproduzione della specie può notevolmente migliorare la situazione.
- È bene evitare di comprare pesci catturati con metodi poco sostenibili, come la rete da traino. Come fare ad accorgersene? Semplicemente guardando attentamente le etichette, su cui devono essere indicate la categoria degli attrezzi da pesca e la zona specifica di cattura (es.zona FAO Mar Mediteranno n. 37). Comprare pesce fresco (entro le 48 h dalla cattura) e nei nostri mari dà una garanzia maggiore rispetto ai pesci pescati nei mari distanti da noi (es zona FAO Oceano Indiano n. 51 e 57)
- Evitare l’acquisto di pesci di allevamento intensivo, che provocano un forte danneggiamento all’ecosistema. Infatti, spesso, queste strutture vengono poste in zone del mondo non consone, ad esempio il salmone allevato nell’emisfero sud, che distrugge gli ecosistemi locali. Gli allevamenti di tipo intensivo sono dannosi oltre che per l’ambiente anche per la nostra salute, perché i pesci cresciuti in spazi ridotti non favoriscono il benessere dell’animale, incidendo anche negativamente sulla sua carne.
- È necessario imparare a variare, esistono molte specie di pesci commestibili gastronomicamente buone ma meno conosciute, come il pesce serra, lo sgombro, la palamita, il pesce sciabola, la lampuga. Chiedete al vostro pescivendolo di fiducia, sicuramente vi saprà consigliare.
- Infine, sarebbe meglio scegliere specie con un ciclo vitale breve, tra questi (oltre le già citate) esempi sono le acciughe, le sardine, le aringhe, l’occhiata, il sugarello. Infatti i pesci di grossa taglia, i super predatori (tonno, pesce spada, merluzzo ecc.) accumulano molte sostanze inquinanti, metalli pesanti e microplastiche nel corso della loro più lunga vita.
Le mie considerazioni dopo Slow Fish
La mia esperienza a Slow Fish è stata molto stimolante, e mi ha fatto riflettere sulle sorti del nostro mare. Spero che vi abbia stimolato a contribuire a salvaguardare il nostro patrimonio marino, consumando responsabilmente i nostri prodotti ittici. Possiamo fare ancora tantissimo per proteggere il nostro pianeta!
A presto,
Francisca
Sono Francisca nata in Cile ma di origini italiane, all’età di 19 anni ho deciso di ritornare alle origini scegliendo Genova come città in cui vivere. Cuoca di professione e blogger per passione, recupero storie e ricette dalle mie radici latinoamericane realizzandole con prodotti locali preferibilmente biologici, di stagione, a basso impatto ambientale e che rispettino il benessere animale.